Gli Stati delle Cose

2012

Materiale: olio

Supporto: tela

Soggetti: luoghi, cose, presenze

Inquadratura: laterale, ravvicinata, parziale 

Giuseppe Restano ha scelto la metodica delle formule semplici, immediate per schema ideativo ed elaborativo, una sorta di chiave empatica che apre un dialogo diretto col fruitore, trascinandolo negli universi raccolti delle realtà condivisibili. Nessun semplicismo, sia chiaro, ma semplicità come sintesi tra conoscenza e metodo, lungo approcci silenti e concentrati, con la disciplina nel processo e la precisione nel risultato. 

Luoghi. Cose. Presenze… ecco la vita nella sua consueta normalità, sottoposta alla prospettiva trasversale della pittura, ad un’angolazione figurativa che indica la presenza di un occhio investigativo, vicino alla superficie delle forme, quasi ad osservarne le impronte nascoste, l’indecifrabilità sottile, la parzialità in campo. Ovvio e ineccepibile il richiamo filiale a Domenico Gnoli, maestro italiano che tanto ha ricevuto e ancora moltissimo merita in campo internazionale. Un punto di partenza e spinta in avanti, per appartenersi e somigliarsi ma senza replicare, riabilitando la memoria in forma attiva, accelerando le vicinanze verso stadi di completamento ulteriore. 

Domenico Gnoli e le radici necessarie

Una pettinatura con brillantina, una vasca da bagno, un inamidato collo di camicia, un nodo di cravatta, una scarpa con tacco alto, una mela, un pezzo di muro a cortina, un busto di donna… forme tra il domestico e l’urbano che l’artista isolava, scrutava ad occhio ravvicinato e poi dipingeva con stesure pulite dai colori realistici. La casa e i suoi inquilini venivano setacciati da questo sensibile radar umano che “sacralizzava” il dettaglio, ingigantendolo fino a renderlo un’icona metafisica e trascendente. Gnoli nacque a Roma nel 1933 e morì a New York nel 1970. In mezzo quei capolavori pittorici che impreziosirono una carriera da “artista metapop”. Una visione particolare dove Metafisica e Pop Art si fusero in forma rigorosa, concettualmente ineccepibile, dandoci quadri formidabili che mantengono il passo dei nostri tempi. Un vero talento che capì l’ossessione per gli oggetti e il culto per il corpo, inventando uno stile che tanti artisti hanno masticato. E che tuttora si espande verso la moda, la grafica, la pubblicità…

Le Affinità Elettive

Nel 1970 muore Domenico Gnoli e nasce Giuseppe Restano. Casualità e coincidenze non esistono, diciamo che certe date collegano gli ideali gradi di separazione e creano traiettorie per un futuro di continuità ereditaria. Restano ha raccolto un patrimonio impegnativo e ne sta facendo il giusto uso, senza copiare ma con la volontà di continuare in chiave personale, contemporanea al proprio tempo. E’ incredibile la riconoscibilità di certi artisti che raccontano le cose più normali del quotidiano. Dovrebbe essere il contrario, si immagina che le forme strane abbiano il seme dell’icona indelebile; e invece sono proprio le cose ovvie a definire alcune poetiche che si esprimono con linguaggi antichi e visuali odierne. Impegnativa e importante la sfida davanti agli stati delle cose, davanti al vissuto biologico dell’inanimato, davanti ad una ristretta selezione di presenze minime e silenziose. Forse proprio quel rumore bianco cambia la percezione delle cose, un silenzio denso che disegna superfici invisibili e amplia l’estensione emotiva degli oggetti. 

L’artista dipinge la consuetudine silente delle cose assolutamente normali. Privilegia oggetti e luoghi tipici, riconoscibili ma senza dichiarare nulla con evidenza. In realtà agisce per continui close-up, captando dettagli e angolazioni, lungo una linea ideale che ci porta ad una metafisica del feticcio in cui l’oggetto si espande sulla tela, occupando lo spazio con frequenza geometrica, verso il telaio delle forme reali, verso la tramatura geometrica che disegna una quasi evidenza del vero. Tutto diventa così evidente, esplicitamente dichiarato da trasformarsi nella finzione del racconto, un’evidenza che replica il vero attraverso un puro falso di origine magrittiana. Il termine “quasi” lascia un margine aperto tra falso e reale, mescolando di continuo i due stati opposti, con la coscienza che ci siano molteplici variabili tra il puro artificio e la pura verità. 

La natura “investigativa” di Restano focalizza campi da tennis, gomme per cancellare, pompe di benzina, quaderni a quadretti, piscine, mattonelle, banchi scolastici, palle da tennis, palloni da basket… un occhio privato (legato ad un primo passaggio di natura fotografica) che elimina qualsiasi accenno dinamico e fissa gli scenari nel loro vuoto astrale, quando qualcosa sembra appena avvenuta o in fase di prossimo accadimento. Senti la sospensione gravitazionale, un’atmosfera filmica che evoca memorie importanti, come le calde giornate californiane di David Hockney, le stilizzazioni desertiche di Georgia O’Keeffe, gli esterni stradali di Ed Ruscha… i dovuti richiami, sempre con Gnoli in cima, si trasformano nel quid investigativo che Restano ha fatto proprio, creandosi una riconoscibilità di approccio, temi e stile. Ecco gli stati possibili delle cose normali: che improvvisamente diventano anomale, talvolta inquietanti senza dirlo, troppo statiche per non nascondere una seconda pelle e un mistero senza risposte. Gli oggetti vengono scandagliati a distanza minima, carezzati dallo sguardo, trattati con attenzione metodica. Sembrano fragili o pericolosi, comunque bisognosi di una qualche attenzione. Forse sono vittime, forse carnefici, forse entrambe le cose o nessuna di queste; di fatto pulsano nella loro apparente fermezza, senti che scorre qualcosa sottotraccia e vorresti afferrarne il senso, la dimensione ultima, la potenza deflagrante. Ci provi ad andare oltre la superficie e capisci che solo la tua visione aggiunge informazioni e completa l’opera, dando al quid una forma compiuta che corrisponde alla tua investigazione interiore. 

Ceci n’est pas une pipe.

Quella di Restano è una metafisica flat che recupera il candore caramelloso degli anni Sessanta, mostrando il lato tattile delle forme reali, la loro amichevole apparenza, quel candore soffuso da aquario del reale. Ma come accade quando l’apparenza è troppo “appariscente”, qualcosa di ambiguo cresce e non si rivela, distillandoci quel dubbio investigativo attorno al vero. La domanda finale sorge ovvia: siamo sicuri di guardare una biglia, un calcio balilla, una pista da atletica, una racchetta da ping pong? Forse aveva ragione Magritte quando scrisse su un quadro: Ceci n’est pas une pipe.

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